Il viaggio dei ricordi

Sono trascorse due generazioni prima che il passato potesse riaffiorare senza lacerare;  prima che il ricordo, a lungo soffocato, rinnegato, nascosto, potesse diventare memoria viva da consegnare alla storia e al futuro.

Matteo Pecoraro, il protagonista della vicenda, era un soldato dell’8° Reggimento Fanteria, Divisione Cuneo…        

Tutto, caro zio, ormai era deciso: guerra!

Il destino di quasi 50.000 caduti era già scritto e si sarebbe tragicamente compiuto sugli aspri monti della Grecia, testimoni un inverno durissimo, fango e neve, tormente gelide, tempestive ma inascoltate cassandre che nulla potevano contro la testarda, incosciente decisione di occupare la Grecia.

Tutti voi soldati italiani avreste capito a caro prezzo l’assurdità dei comandi superiori di andare avanti e resistere anche a costo del sacrificio supremo.

E’ ciò che avete fatto.

Poiché avevate giurato fedeltà ad una patria che, vostro malgrado,  avrebbe sacrificato molti di voi sull’altare del sogno sciagurato della follia fascista.

Vojussa, Erseke, Smolika, Epiro, Pindo e ancora ponte di Perati, Coriza, Klisura, Pogradec, Morova, Gramos, quota 731, Monastero, Bregu Psarit: sono alcuni dei più noti teatri di cruente battaglie, divenuti ormai lapidi indistruttibili di una memoria storica su cui non si è scritto abbastanza.

Sul pesantissimo prezzo di quasi 50.000 caduti e 100.000 feriti si è solo sussurrato. Di quell’enorme, dolorosa fatica, rimane certo un senso di tristezza, ma anche di ammirazione per i nostri soldati.

Ho rivisto il sacrario di quota 731, con la sua alta croce e con i suoi cimeli gloriosi e melanconici, che non mi  ricordava tanto una offensiva sterile e una campagna pazzesca, quanto una somma immensa di valore e di dolore.”C’è da restare ammirati di fronte  all’ardimento dei nostri soldati e insieme alla loro bontà. Sono stati nella campagna di Grecia i soldati peggio guidati del mondo, senza dubbio alcuno”.

La guerra di Grecia si rivelò per l’Italia una delle più tragiche avventure militari di tutti  tempi. Con un armamento che risaliva alla prima guerra mondiale, privi dei rifornimenti indispensabili, comandati da generali che badavano più alla propria carriera che a vincere una battaglia sul campo, i nostri soldati dovettero lottare disperatamente per sei lunghi mesi – fino al risolutivo intervento tedesco – per evitare di farsi buttare a mare dall’esercito greco, un esercito povero e male armato come il nostro, ma che combatteva per difendere la libertà della propria patria .

Bregu Psarit, la collina di Psarit, è un minuscolo agglomerato di case coloniche, sperduto tra le alte montagne del sud dell’Albania,  a circa 30 km  dal confine con la Grecia.

Per moltissimi anni per me e per i miei è stata solo una località individuata sulle carte topografiche, con un nome sinistro e inaccessibile…

Per vedere con i miei occhi le stesse immagini che, prima di morire, per mesi e mesi aveva visto mio zio, mi sono recato in quella località remota eppure carica di memorie…

Lo zio era uno splendido uomo. Alto, simpatico uno spirito allegro… “Un’anima mai sazia di sapere, e perciò mai felice, così lo ricorda Ciriaco Bello, salernitano, morto anche lui sul fronte greco-albanese. Io cercavo spesso la sua compagnia  per dimenticare, per sorridere un po’ insieme di questo fosco dramma che è la vita. Sempre allegro, era una fonte inesauribile di trovate, ma era, soprattutto, un cuore d’oro. Tutto ciò che aveva non era suo, ma degli amici, di tutti gli amici, cui regalava, con la freschezza dei suoi anni, gioia e spensieratezza. Ricordo: un giorno si era insieme. Si parlava del più e del meno, e di famiglia. Egli disse, così candidamente come solo lui sapeva, disse:” La mia famiglia è e resterà mio papà e mia mamma!”

E allora, quali emozioni a “tornare”, perché in qualche modo di ritorno si tratta, in quei luoghi?  Rivedo i panorami, con allineamenti di colline e di alte montagne, con un fiume che scorre a valle.  Ripenso ai nostri uomini che si fecero amare e voler bene dalla gente di quei posti. Ma immagino quei posti anche coperti di neve, battuti dal vento: come era possibile viverci, camminare, orizzontarsi? Mi pare di vederli quei ragazzi…